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28/07/2009 17:41

Medici

Meccanismi di difesa e informazioni mediche in NCH infantile
(Dr.ssa Simona Di Giovanni)


La scoperta di una malattia potenzialmente mortale al proprio figlio induce i genitori a ricercare ciò che precedentemente era quasi impensabile, “mio figlio può morire: perché è capitato a me?”. Spesso nello sforzo di darsi una ragione si cercano i motivi di una sorta di nemesi del fato per qualche precedente colpa. Terapie assunte nel periodo antecedente o contemporaneo alla gravidanza oppure problemi personali o relazionali, ritornano come “scheletri nell’armadio”, come se avessero potuto contaminare la vita del proprio figlio.
Il sentimento di “partecipazione” alla malattia del bambino rende questa esperienza doppiamente dolorosa provocando una dispersione nel pozzo del passato di energie che invece sarebbero necessarie per affrontare la malattia.
La paura della morte conseguente alla consapevolezza della gravità della malattia costituisce una minaccia, che viene evitata attraverso meccanismi di difesa. Le difese inducono una sorta di anestesia, per evitare o sopportare il continuo confronto con la morte attraverso una fuga dal piano emotivo e/o cognitivo e dell’agire. Se è impossibile “non sapere”, almeno “non sentire” può apparire istintivamente una via di fuga più accettabile per salvaguardare uno pseudo-equilibrio.
Le reazioni emotive dei genitori possono quindi apparire incongrue alla gravità dell’informazione comunicata dal medico. Tali incongruità sono dovute proprio alla messa in atto di meccanismi di difesa cioè di risposte automatiche di cui spesso si è inconsapevoli. Le difese possono svolgere una funzione adattativa o difensiva secondo la loro gravità, la loro rigidità e il contesto nel quale si verificano. Per esempio, l’attenzione selettiva può essere utilizzata sia a livello adattivo per favorire la concentrazione, sia a livello difensivo in funzione di diniego.
I meccanismi di difesa agiscono influenzando la rielaborazione dell’informazione del soggetto, tanto da poter distorcere percezioni, falsificare ricordi e bloccare azioni. Le difese più facilmente riscontrabili in coloro che si trovano di fronte ad una minaccia di vita sono:
Negazione. Il soggetto nega attivamente che un sentimento, un comportamento o un’intenzione (riguardante il passato o il presente) sia stata o sia presente, anche se l’evidenza afferma il contrario. Questa difesa consente di non ammettere o di non prendere coscienza di un’idea o di un sentimento che ritiene potrebbe causargli conseguenze negative (come vergogna, rammarico o altri affetti dolorosi). Il soggetto è del tutto inconsapevole dei pensieri e delle emozioni inerenti alla sua esperienza. E’ proprio il diniego o la negazione ad essere la difesa che compare comunemente in pazienti gravemente malati con una funzione protettiva soprattutto nella prima fase di adattamento alla minaccia di morte. E’ una sorta di facciata che permette di sopravvivere allontanando da sé la vera percezione dei sentimenti e delle nozioni. Nei genitori sono frequenti, esempio, minimizzazioni dei deficit o del ritardo cognitivo o motorio del bambino.
Rimozione E’ una difesa che protegge il soggetto dalla consapevolezza di ciò che prova o ha provato in passato. A differenza della negazione dove sia l’idea che l’affetto sono al di fuori della consapevolezza, nella rimozione gli aspetti emotivi sono chiaramente presenti e percepiti mentre quelli cognitivi restano al di fuori della coscienza. Esempi di rimozione sono, uno o due lapsus linguae mentre si dice qualcosa che poi si nega o che è l’opposto di ciò che si afferma di voler dire, oppure il dimenticare più volte quanto sta dicendo nel mezzo di una discussione, dimenticare particolari significativi di eventi traumatici. Nel contesto medico, i genitori possono “dimenticare” i rischi dell’intervento del bambino dei quali sono stati informati con precisione dal chirurgo.
Dissociazione L’individuo affronta conflitti emotivi e stress interni o esterni attraverso un’alterazione temporanea del proprio stato psichico o della propria identità, che gli consente di sentirsi meno colpevole o minacciato.Un particolare affetto o impulso vissuto come troppo minaccioso, troppo conflittuale, o troppo ansiogeno viene reso inconscio e contemporaneamente espresso attraverso un’alterazione della coscienza. Nel contesto medico, una lunga degenza del proprio figlio, ad es. in condizione di coma vigile, obbliga un costante contatto con la paura della morte. Il genitore può parlare della malattia del bambino con “indifferenza”, dando al medico il messaggio affettivo che l’evento in questione sembra quasi non essere stato registrato nel suo significato, pur non negandone l’esistenza.
Anticipazione L’uso di questa difesa permette all’individuo di mitigare gli effetti delle tensioni o dei conflitti futuri. Essa implica la capacità di tollerare l’ansia che si manifesta quando il soggetto immagina quanto possa essere angosciante una situazione futura. Attraverso tale prova affettiva, ad esempio, “come mi sentirò quando morirà mio figlio” e la pianificazione delle risposte future, il soggetto diminuisce gli aspetti angoscianti del futuro fattore stressante. Sono i genitori che partecipano attivamente al funerale di un bambino conosciuto durante la malattia, mettendosi al primo banco accanto al genitore del bambino morto.
Aggressione passiva. E’ caratterizzata dal modo indiretto, velato e passivo con il quale vengono espressi l’ostilità e i sentimenti di rancore nei confronti degli altri. La persona che fa uso di questa difesa ha imparato ad attendersi una punizione, una frustrazione o un rifiuto se esprime bisogni o sentimenti direttamente a qualcuno che ha potere o autorità su di lui. Il soggetto si sente impotente e pieno di risentimento. Le richieste di attenzione, di aiuto o il desiderio di esprimere sentimenti sono presenti ma non vengono verbalizzati o sono verbalizzati troppo tardi, mentre il risentimento viene espresso tramite l’inettitudine, i ritardi ecc. come mezzo per irritare gli altri. Questo meccanismo di difesa è molto frequente nei genitori del bambino malato rispetto alla propria famiglia d’origine. Ci sono genitori che non hanno mai “permesso” loro di ricevere una visita in ospedale anche a seguito di lunghi ricoveri, per poi a tempo debito lamentarsene
Scissione. L’individuo affronta conflitti emotivi e stress interni o esterni considerando se stesso o gli altri come completamente buoni o completamente cattivi, non riuscendo a integrare le caratteristiche positive e negative di sé e degli altri in immagini coese; spesso lo stesso individuo sarà alternativamente idealizzato e svalutato. I genitori che adottano tale difesa possono mutare rapidamente l’opinione del proprio medico lodandolo o biasimandolo sulla base di informazioni parziali o incomplete.
Ipocondria. Comporta l’uso ripetuto di una o più lamentele nelle quali il soggetto chiede apparentemente aiuto. Contemporaneamente, poi, il soggetto, rifiutando suggerimenti, consigli o qualsiasi cosa gli altri gli offrano, esprime sentimenti nascosti di ostilità e risentimento. E’ dunque una difesa contro la rabbia che il soggetto prova ogni volta che sente la necessità di dipendere emotivamente dagli altri. La rabbia sorge dalla convinzione, o spesso dall’esperienza passata, che nessuno soddisferà realmente i suoi bisogni. E’ il tipico soggetto che si lamenta sempre con il medico o inscena una pantomima su tutti i suoi acciacchi fisici eludendo i tentativi di indagare a fondo un disturbo, di affrontarlo e capirlo efficacemente e contemporaneamente si lamenta della mancanza di aiuto. Oppure è il soggetto che si lamenta spontaneamente di come gli altri (medici, parenti) non si preoccupino realmente o abbiano di fatto peggiorato il problema, anche quando il suo resoconto dimostra il contrario.
In questi casi, il medico dopo aver eseguito un difficile e delicato intervento verrà investito da tutta una serie di preoccupazioni del genitore su aspetti evidentemente secondari, tralasciando gli importanti risultati raggiunti.
Fantasia L’individuo affronta conflitti emotivi e stress passando tempi eccessivi a sognare ad occhi aperti, evitando così le relazioni umane, un agire più diretto ed efficace o la soluzione dei problemi. La fantasia diventa un mezzo per non affrontare o risolvere problemi esterni o per esprimere e soddisfare i propri sentimenti e desideri; permette di ottenere una qualche transitoria e sostitutiva gratificazione fantasticando una soluzione a un conflitto con il mondo reale. Il soggetto, mentre utilizza la fantasia, si sente bene e allontana momentaneamente la convinzione di essere impotente; infatti mentre fantastica può essere attiva la convinzione opposta di essere onnipotente, di poter fare qualsiasi cosa. Nel contesto medico, sono frequenti “innamoramenti” da parte delle bambine nei confronti del medico curante e chiacchierate serali “goliardiche” tra le mamme.
L’incapacità di accettare la morte del proprio figlio è stata paragonata all’incapacità da parte dei pazienti psicotici di accettare la propria morte. Entrambi infatti hanno bisogno di creare un’area di illusione parziale che ha in comune con il delirio psicotico il bisogno di mantenere un’illusione di immortalità e di vivere una condizione di diversità dagli altri malati, ma si differenzia dal delirio, per la continua e stretta interazione con l’area vicina alla realtà (in quest’ultimi si parla infatti di area di illusione totale). E’ quindi priva delle estreme distorsioni che connotano il delirio e non diviene mai sostitutiva della realtà; piuttosto, consente di affrontare meglio quest’ultima.
Il bisogno del genitore è dunque di poter avere un’area di illusione, nella quale e per mezzo della quale evitare l’impatto diretto con l’evento della morte. In quest’area di illusione parziale coesistono entrambe le componenti: quella che sa che la morte è imminente e quella che s’illude di poter avere ancora tempo di vivere e di fare le cose che non ha fatto nel passato. L’area illusionale si pone quindi come una delle risorse più valide per mediare con una realtà così drammatica, e al tempo stesso diviene il mezzo con cui un genitore può accettare di identificare le sue risorse, per trascorrere il tempo che rimane al proprio figlio nel modo più costruttivo possibile.
L’illusione di essere eterno, quando interagisce costantemente con la realtà, diviene un rifugio consolatorio dalla realtà dell’impotenza e della frustrazione e permette di tollerare la propria reale situazione di perdita. Diviene, di fronte alla morte, un patrimonio di risorse interne ed emotive, che si contrappone all’irreparabile, ovvero la morte nel presente o nel futuro, gli errori, i fallimenti, le colpe, le occasioni perdute, consentendo di dar valore e significato a ciò che di positivo e di possibile esiste anche di fronte alla realtà più tragica.




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